Nella vita di tutti i giorni, nella sfera privata ma anche in quella professionale, non è raro ricevere le confidenze di un amico, un famigliare, un collega che ci esprime un momento di difficoltà o una sofferenza che si protrae nel tempo, che assume le caratteristiche di umore depresso, conflitti relazionali, attacchi di panico, ecc. In alcuni casi ci sentiremmo di rispondere che una consulenza dallo psicologo potrebbe essere utile, ma spesso poi taciamo per il timore che la persona reagisca negativamente al nostro consiglio. In altri casi, invece, non ci sentiamo in diritto di entrare in questioni così personali, pur dispiacendoci per la sofferenza che l'altro ci sta raccontando. Capita anche che, pur non ricevendo direttamente alcuna confidenza, ci accorgiamo del disagio dell'altro, proprio in virtù della profonda conoscenza e affetto che ci lega all'altro.
In una realtà in cui ancora "lo psicologo è roba da matti", effettivamente può risultare difficile, a volte addirittura complicato, suggerire di rivolgersi a un professionista in presenza di una sofferenza psicologica.
Pur non stancandoci di ripetere che aver cura di sé non è mai tempo perso, ci rendiamo conto della delicatezza dell'argomento e vorremmo provare a far un po' di chiarezza.
Quando è opportuno consigliare uno psicologo a Torino?
Se un famigliare, un amico, un collega ci raccontasse di soffrire di acidità di stomaco da lungo tempo, non riuscendo più per questo ad apprezzare pienamente il momento dei pasti, non gli suggeriremmo forse di rivolgersi a uno specialista medico? E se ci raccontasse di avere, soprattutto in primavera, difficoltà a "respirare a pieni polmoni" non lo inviteremmo forse a recarsi urgentemente da un allergologo?
Se un amico invece ci raccontasse di essere in crisi da tempo con la/il propria/o partner cosa ci impedirebbe di suggerirgli il parere di un terapeuta di coppia per approfondire le origini e le eventuali soluzioni per questa crisi? Se un collega del nostro team ci confidasse di dover rifiutare la tanto desiderata promozione perché questo lo esporrebbe alla necessità di frequenti trasferte in aereo intollerabili, dato il suo terrore per gli aerei, perché mai non suggerirgli l'intervento di uno psicoterapeuta per superare questa sua paura? Ai bambini non insegniamo forse che le paure si superano?!
E ancora: se vedessimo un fratello o una sorella ormai dopo anni, in estrema difficoltà a superare la separazione dalla compagna/o, cosa ci ostacolerebbe nel consigliargli/le un supporto per rielaborare la perdita affettiva? E se in seguito a un incidente non riuscissimo più a guidare senza essere invasi ogni volta dall'apprensione e dall'insicurezza, non potrebbe essere utile avviare un percorso di psicoterapia?
E' indubbio che sulla nostra possibilità di risposta pesino gli stereotipi culturali, ma ancor più influente può essere l'idea che per il disagio psicologico si debba trovare in se stessi la soluzione, quasi che solo il nostro corpo meriti cure e l'intervento del medico, meglio se specialista. Forse allora, nei casi sopra citati, potrebbe valer la pena ricordare che mente e corpo sono le due facce della stessa medaglia, meritevoli ognuna, in egual misura, di attenzione.
Detto questo, non possiamo tralasciare l'importanza della motivazione a prendersi cura di sé, sia che ci si riferisca a un eventuale supporto medico, sia se l'invito è di rivolgersi allo specialista per un supporto psicologico.
La motivazione soggettiva, infatti, è elemento imprescindibile nel processo terapeutico. Difficilmente una persona può trarre giovamento dal colloquio con uno specialista, medico o psicologo che sia, se non ritiene utile e sensato per sé farlo. Dunque, di fronte a un amico in difficoltà , potremmo anche rivolgergli l'invito a consultare uno psicologo a Torino, ma sarà poi solo lui, o lei, a valutare l'appropriatezza del nostro suggerimento, in relazione alle proprie credenze e valori di riferimento.
Come portare una persona dallo psicologo?
Capita spesso a uno psicologo di ricevere la richiesta di aiuto da parte di un parente del "paziente designato", che però a volte non è a conoscenza neppure di tale richiesta. In questi casi il professionista non può che invitare il parente a rendere nota alla persona la propria apprensione, offrendosi eventualmente di accompagnarlo, se lo desidera, nello studio dello psicologo. A volte non sentirsi soli, può funzionare da incentivo. Così come vedere la preoccupazione negli occhi di chi ci vuole bene può aprirci lo sguardo a nuove prospettive.
Se la persona non ritiene, però, di giovarsi di tale iniziativa o non riconosce la propria sofferenza, nessuno può costringere nessuno. Anche la Legge in questo senso è chiara. Solo in rari casi, di fronte ad elementi di una certa gravità , valutati da più di uno specialista, e solo in presenza di un pericolo per la propria o altrui incolumità , è previsto che sia superata la volontà soggettiva, avviando i cosiddetti trattamenti sanitari obbligatori.
In nessun altro caso, invece, è possibile costringere una persona a sottoporsi a cure non desiderate.
Il consiglio è, quindi, di spiegare al nostro amico o parente le ragioni che ci hanno portato a pensare che potrebbe essere utile la consulenza di uno psicologo, senza per questo cercare di imporre la nostra volontà .
E se la persona è minorenne?
Ci preme sottolineare che nel caso in cui la persona che potrebbe giovarsi della consulenza di uno psicologo o di uno psicoterapeuta sia minorenne è indispensabile che non solo entrambi i genitori debbono essere a conoscenza della volontà del minore di consultare il professionista, ma debbano anche esprimere il loro pieno consenso.
Anche in caso di separazione legale, il minore non può essere ricevuto dal professionista psicologo, a meno che entrambi i genitori che esercitano la patria potestà abbiano espresso, personalmente, il loro consenso.
In questi casi, quindi, è opportuno che entrambi i genitori accompagnino il minore al primo colloquio.