
Attacco di panico e disturbo di panico non sono sinonimi. Infatti ciò che costituisce il disturbo di panico non è solo l'aver vissuto, almeno una volta nella vita, un attacco di panico, ma la paura di averne degli altri, al punto da modificare il proprio stile di vita e i propri comportamenti nel tentativo di evitare la possibilità di avere altri attacchi di panico.
Come ci insegna Pietro Spagnulo, l'obiettivo per chi soffre di tale disturbo non dovrebbe essere sbarazzarsi dell'ansia e dell'agitazione, ma al contrario "apprendere a tollerare la propria ansia" (Spagnulo, 2011), imparando a gestire l'attacco di panico. Innanzitutto comprendendo quali sono i circoli viziosi che alimentano e mantengono il panico.
Quali sono i principali sintomi di un attacco di panico?
Sensazioni Somatiche
- tachicardia
- respiro affannato
- fame d'aria
- tensione muscolare
- vertigini
- tremori
- sudori
- stordimento
- nodo alla gola
Emozioni
- ansia
- paura
- panico
- paura della paura = ansia anticipatoria
Pensieri
- "sono in pericolo"
- "sto per avere un infarto"
- "sto per morire"
- "sto per svenire"
- "perderò il controllo"
- "sto per impazzire"
- "mi ridicolizzerò"
- "nessuno verrà in mio aiuto"
- "non ce la faccio"
Le risposte somatiche sono quelle tipiche della risposta di allarme, col suo meccanismo di attacco-fuga, che si attiva in noi inconsapevolmente tutte le volte che percepiamo il pericolo. E' la risposta fisiologica innescata dalla paura che consente all'organismo di difendersi, scappando o attaccando: il battito cardiaco e la frequenza respiratoria aumentano perché così il cuore e i polmoni pompano più sangue e ossigeno ai muscoli degli arti inferiori, la vigilanza aumenta per permetterci di cogliere ulteriori segnali di pericolo, e l'iperossigenazione può darci la sensazione di vertigine e stordimento.
Queste sensazioni sono quindi perfettamente sane e funzionali, ma per chi soffre di disturbo di panico rappresentano invece troppo spesso il segnale di un imminente attacco o sono interpretate come catastrofiche e non invece come risposte sane e adattative al pericolo. Ma è proprio questa interpretazione negativa che alimenta e intensifica la risposta di allarme: se leggo la tachicardia come segnale che sto per avere un infarto, il segnale che invio al mio cervello è che sono in pericolo e dunque la risposta che si attiverà sarà proprio quella di allarme, intensificando ancor di più le temute sensazioni fisiche e creando un circolo vizioso che sfocia nella "paura della paura" e nella necessità di evitare il più possibile tutte quelle situazioni che potrebbero innescare emozioni, sensazioni e pensieri tipici del panico. E' come se la persona continuasse a inviare alla propria mente il segnale di pericolo e che non è proprio il caso di stare tranquilli, e allora ovviamente la nostra mente reagisce non stando tranquilla affatto ed anzi attivando tutti gli strumenti di cui dispone per difendersi.
Come affrontare e gestire un attacco di panico allora?
Sembrerà banale ma la miglior soluzione durante un attacco di panico è predisporsi ad inviare al cervello segnali rassicuranti, perché il meccanismo della risposta di allarme non discrimina tra la paura nell'essere di fronte a un leone feroce che sta per azzannarci, la paura di fronte al capo che sta valutando il nostro lavoro o di fronte al pensiero di stare per svenire.
Gestire gli attacchi di panico allora può voler dire imparare a recuperare un senso di tranquillità , innanzitutto non attribuendo necessariamente significati minacciosi alle sensazioni che ci arrivano da dentro e fuori di noi.
Alcune tecniche cognitivo-comportamentali risultano particolarmente vantaggiose in questo senso e possono essere apprese piuttosto facilmente con l'aiuto di un professionista.
La psicoterapia può cioè aiutare il soggetto a divenire consapevole delle ragioni per cui egli sperimenta ansia e panico, identificando quali sono gli scopi personali che sente minacciati in alcune circostanze. La consapevolezza dovrebbe, prima o dopo, accompagnarsi allo sviluppo di modalità più funzionali di "gestire diversamente le proprie emozioni e le proprie sensazioni" (Spagnulo, 2011, p.33).
Normalmente una persona che soffre di disturbo di panico vuole innanzitutto sbarazzarsi dell'ansia e della paura a volte così intense. Potrebbe dunque rimanere frustrato dalla proposta del terapeuta di imparare invece a tollerarla, gestendola però in maniera più funzionale. D'altra parte è impensabile eliminare l'ansia dalla nostra vita, sarebbe anzi addirittura un danno; alcune circostanze particolarmente stressanti o alcuni eventi particolarmente spiacevoli attiveranno sensatamente nell'individuo paura, angoscia, a volte addirittura terrore e questo non è di per sé negativo ma anzi fisiologico e sano. Quote di ansia sono perfino utili per favorire migliori prestazioni, come accade allo studente di fronte alla preparazione di un esame o allo sportivo subito prima di una gara. E' quando diventa invalidante che è il caso di rivolgersi a un professionista, il cui compito non è però quello di stravolgere i meccanismi fisiologici dell'organismo né di fare magie, ma di sostenere la persona nello sviluppo di risorse e strategie più efficaci, ridimensionando l'eventuale immagine di sé quale debole e incapace, promuovendo infine l'esposizione alle situazioni temute, perché evitandole non si fa altro che alimentare la paura e il vissuto di incompetenza e inefficacia.